mercoledì 16 giugno 2010

Tom, la monorotaia e il 1961



Immaginate un ragazzo, uno studente di architettura dell’Università del Michigan innamorato come tanti in America delle auto e dello stile italiano. Siamo nel 1958 e Tom Tjaarda, figlio dell’automotive designer di origine olandese Joop “John” Tjaarda van Starkenberg realizza il suo primo modello durante un corso di design industriale. Lo nota Luigi Segre, direttore della Ghia, e il sogno si avvera: Tom segue Segre a Torino e in breve tempo diventa uno dei designer industriali più richiesti e più famosi al mondo.
Anni d’oro, quelli, per Torino. In pieno boom economico, centro di produzione mondiale del nuovo bene di massa, l’automobile, la città è un formidabile laboratorio di stile ed eleganza, centro di design internazionale: Ghia, Bertone, Pininfarina, e più tardi l’Italdesign di Giugiaro producono auto ricercate, sfoggiate dal jet set internazionale. Tom Tjaarda ha 24 anni quando arriva a Torino e riceve il suo primo incarico: disegnare la monorotaia di Italia ’61.

“Il mio mito allora era la Pininfarina – spiega Tjaarda - inventore uno stile molto ammirato in America: le sue auto erano icone di stile. Per un giovane studente venire a Torino a imparare era l’occasione della vita. Per me quell’occasione si è avverata”.
Primo incarico alla Ghia, il disegno della cabina della monorotaia: “Andai due mesi in Germania a disegnare e seguire i lavori del treno, tra agosto e settembre del ’60. Era un paese vicino a Berlino, Salzgitter, la fabbrica si chiamava Linke-Hofmann-Busch. Progettai l’interno e l’esterno della cabina, che montava su un sistema di trazione che si chiamava Alweg. La fabbrica impiegava tantissimi ingegneri aeronautici, che prima della guerra avevano disegnato i Messerschmitt, micidiali aerei da guerra. Quando abbiamo finito, il treno è stato portato a Torino su tre enormi camion”. A cosa si è ispirato per il disegno? Ha preso spunto da esempi già realizzati in altre città? “No, assolutamente, ho cercato di fare qualcosa di nuovo, guardando all'avvenire. Un progetto di stile portato nel futuro”.

L’intento degli organizzatori dell’Expo era quello di portare una immagine del futuro, anche nei sistemi di trasporto. “In realtà – spiega il designer statunitense – lo stile la faceva sembrare qualcosa di futuristico, ma era un oggetto molto “crudo”, basilare, pur essendo la migliore tecnologia per quei tempi: viaggiava su ruote di gomma, faceva rumore e andava molto adagio: non funzionava molto bene. Oggi i treni su monorotaia sono tra quelli più veloci e affidabili; quelli costruiti recentemente in Cina viaggiano a 300 km l'ora. Nel ’60 era invece una tecnologia che esordiva ed era piuttosto grezza”.

Oltre alla monorotaia, lei ha partecipato alla progettazione della mostra “Moda, stile e costume” ospitata dal Palazzo a Vela. “Ci lavorai sei mesi, nel ’61. Il responsabile dell'allestimento era Pininfarina, che chiamò a collaborare Gabetti e Isola, entrambi professori all'Università. Ho lavorato con loro da gennaio a giugno, prima di entrare alla Pininfarina. Gabetti creava i concetti, Isola li metteva in bianco e nero, era il progettista esecutivo. Io aiutavo Isola a fare i modelli. Dentro il Palavela ricavarono un teatro. Sopra i posti a sedere c'era una vela composta da tanti pezzi di stoffa cuciti insieme. Io ho disegnato e realizzato il modello in scala di questa grande vela, tutti i pezzi uno per uno incollati insieme, poi li ho scollati e riportati su un reticolo dal quale ricavare le misure necessarie alla realizzazione finale. Per realizzare questa enorme vela hanno affittato l'aeroporto di Caselle, con non so quante donne chiamate per cucirne i pezzi. Una volta finita, la vela è stata montata nel Palazzo; attraverso i camminamenti ricavati sopra la volta interna molti operai, accanto a grandi pulegge, tirarono su il telo con lunghi tiranti. Una fatica enorme, ci sono voluti due giorni, fino all'una di notte. Sembrava di essere a Lilliput, una marea di persone tutte intente a costruire la tenda di Gulliver, piccoli uomini che tiravano su questa enorme e pesante impalcatura. Avevo progettato io tutto questo, ad appena 25 anni, e sentivo il peso della responsabilità. Fu un momento indimenticabile”.

Com’era la città allora? “Il clima era internazionale: i vari standisti e responsabili dei vari Paesi presenti all'Expo formavano un gruppo molto affiatato e pieno di giovani, c'erano feste tutte le sere: era, per noi, la “dolce vita” piemontese. Mi sono divertito molto”.
Come si lavorava allora a Torino, in pieno boom economico, nelle grandi aziende che progettavano automobili? “Negli Usa le grandi aziende avevano enormi studi di progettazione, pieni di persone al loro tecnigrafo. Qui eravamo in due, sovraccarichi di lavoro, c'era sempre da fare: era bello per questo”. Cosa ricorda di Pininfarina? “Quando andai a lavorare da lui, mi resi conto in due o tre mesi perché era così famoso: lui era un industriale, un venditore, non era un disegnatore; però aveva l'occhio per la proporzione, per l'eleganza.... non lasciava uscire la macchina se non era completa in tutti i sensi. Aveva un buon gusto tipicamente italiano, nel suo stile si vedeva la Grecia antica, Leonardo, tutta la storia dell'arte che noi in America studiavamo a scuola. Lo ammiravo molto”.

Quando la monorotaia è caduta in disgrazia cosa ha pensato? Come ha vissuto da progettista l'abbandono del treno? “Mah, in programma c'era il prolungamento fino a Moncalieri, poi la cosa non fu fatta e fu l'inizio del declino. Era un servizio troppo costoso la cui tecnologia rischiava di invecchiare velocemente. Secondo me dovevano togliere anche tutti i pilastri, ora sembra un cimitero...”.

Tom Tjaarda nasce nel 1934 a Detroit (Usa). Dopo la laurea si trasferisce a Torino e lavora per l’Expo’61 per conto di Ghia, poi entra in Pininfarina dove diventa uno dei migliori designer di automobili in attività. Ancora oggi collabora con le maggiori firme del mercato automobilistico: suo il disegno della nuova Pantera che nascerà a Grugliasco. Nella sua lunga carriera ha disegnato modelli mitici come la Ferrari 330 GT del ‘64, le Fiat 124 spider e coupé anni ‘60, la Pantera De Tomaso (1970), Ford Fiesta (‘72), Fiat Croma, Autobianchi Y10 e la Rayton Fissore, il suv più usato dalla Polizia italiana.

(pubblicato il 17 maggio su Torino Click)

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